Nota su rischio sismico in Italia: stima del numero di abitazioni interessate (e popolazione di riferimento) e costi per la loro messa in sicurezza

In Italia ogni anno si verificano in media circa un centinaio di terremoti che la popolazione è in grado di percepire.

Si tratta quasi sempre di eventi che non comportano danni a persone e cose. Il terremoto di grave entità resta un evento piuttosto raro che si ripresenta negli stessi territori con intervalli quasi sempre misurabili in parecchie decine di anni, quando non di secoli.

Considerando, però, l’intero territorio nazionale, i terremoti con carattere distruttivo si ripetono, invece, con cadenza molto più breve. Considerando gli ultimi 150 anni -quelli che sono intercorsi in pratica dall’unità d’Italia ad oggi - gli eventi sismici che hanno determinato gravi danni a persone e cose si sono presentati, in media, uno ogni 5 anni.

Per quanto riguarda il rischio sismico, la classificazione territoriale per grado di pericolo evidenzia come oltre 21,5 milioni di persone abitino in aree del paese esposte a rischio simico molto o abbastanza elevato (classificate, rispettivamente, 1 e 2), con una quota pari quasi a 3 milioni nella sola zona 1 di massima esposizione (tab.3).

Altri 19 milioni risiedono, invece, nei comuni classificati in zona 3; zona che non può dirsi sicura, visto che molti comuni emiliani recentemente colpiti dal sisma del maggio 2012 appartenevano proprio a questa fascia di rischio sismico.

Il quadro a livello regionale si presenta particolarmente differenziato. Con regioni come la Calabria, notoriamente ad alto rischio, dove la maggioranza della popolazione risiede in zona 1 (circa 1,2 milioni di persone) e la restante parte in zona 2 (750 mila). O come la Basilicata, con 220 mila persone in zona 1 e 276 mila in zona 2. O ancora, la Sicilia che vede ben 4,5 milioni di cittadini in zona 2 e altri 350 mila in zona 1.

I costi per la messa in sicurezza del patrimonio abitativo dai terremoti dipendono dal livello di copertura del rischio che si ritiene accettabile.

Sulla base di questa assunzione, prendendo a riferimento tutto il patrimonio abitativo del paese e utilizzando come parametro di intensità sismica l’impatto del terremoto de L'Aquila (che rappresenta, nella scala di intensità storicamente registrata in Italia, un evento distruttivo medio) il Centro Studi del Cni ha ipotizzato una possibile distribuzione degli interventi di recupero in funzione della distribuzione per età degli edifici e delle loro condizioni strutturali.

La quota di immobili da recuperare, sulla base dell’esame dei danni registrati alle abitazioni de L’Aquila e delle condizioni del patrimonio abitativo raccolte dalle indagini censuarie, è pari a circa il 40% delle abitazioni del Paese, indipendentemente dal livello di rischio sismico. Con una quota di interventi di recupero decrescente al diminuire dell’età dei fabbricati, sino a considerare quelli costruiti dopo il 2001 e soprattutto quelli edificati dopo il 2008 senza necessità di alcun intervento.

Si tratta in questa prospettiva di intervenire su circa 12 milioni di immobili (tab.4) che dovrebbero essere destinatari di opere di risanamento e messa in sicurezza statica. Con un coinvolgimento di una popolazione pari a circa 23 milioni di cittadini .

Applicando i parametri medi dei capitolati tecnici per interventi antisismici, emerge un costo complessivo, per la messa in sicurezza del patrimonio abitativo degli italiani da eventi sismici medi, pari a circa 93 miliardi di euro (tab.6)

STATO DI CONSERVAZIONE ABITAZIONI

Come è noto, il complesso delle abitazioni residenziali italiani si presenta particolarmente vetusto e, per questa ragione, potenzialmente bisognoso per la messa in sicurezza dal rischio sismico.

Nel dettaglio, circa 15 milioni di abitazioni (ossia più del 50% del totale) sono state costruite, infatti, prima del 1974, in completa assenza di una qualsivoglia normativa antisismica (tab.1)

E, inoltre, circa 4 milioni di immobili, sono stati edificati prima del 1920 e altri 2,7 milioni prima del 1945

Guardando, poi, all’insieme delle abitazioni più vecchie, e rapportandole al numero di abitazioni totali, in alcune regioni come Molise, Piemonte e Liguria, il quadro si presenta particolarmente critico, con circa un quarto delle abitazioni che presenta oltre 100 anni di vita.

All’opposto si può osservare come circa il 5% del totale delle abitazioni sia stata costruita dopo il 2001 e che, per questo necessitano, almeno sulla carta, di minori interventi di messa in  sicurezza.

Tra l’altro, tutte le abitazioni costruite dopo il 2008 dovrebbero rispettare tutte le più recenti normative antisismiche e quindi non abbiano necessità di alcun intervento.
Inoltre, osservando gli edifici costruiti sino al 2001, quasi un quarto di questi (circa 6 milioni) versa in mediocre o pessimo stato di conservazione (tab.2).

Come ci si può aspettare sono proprio le abitazioni meno recenti ad essere maggiormente interessate da un cattivo stato di conservazione.

Basti vedere, ad esempio, come oltre un terzo delle abitazioni costruite prima del 1945 sia in un pessimo o mediocre stato di conservazione, a cui deve aggiungersi il 30% circa di quelle costruite prima del 1961

Solo il 15,0% delle abitazioni costruite prima del 1919, insieme al 13,0% di quelli anteriori al 1945, e al 15,8% di quelle precedente al 1961, versa in ottimo stato di conservazione.

Quindi, un ulteriore elemento di interesse emerge dall’incrocio tra il numero di abitazioni a rischio e l’anno di costruzione, prescindendo, però, dalla zona sismica di riferimento.

Come appare facile comprendere sono le abitazioni caratterizzate da una maggiore anzianità costruttiva ad essere potenzialmente più esposte al rischio sismico.

Sono, infatti, circa 3 milioni gli immobili costruiti prima del 1919 che necessitano, almeno potenzialmente, di interventi di messa in sicurezza (tab.5). A questa cifra bisogna poi aggiungere un altro milione e mezzo di abitazioni, costruite a cavallo delle due guerre. La necessità di interventi di messa in sicurezza si riduce drasticamente al diminuire delle età degli immobili. Sono solo 200 mila, infatti, le abitazioni costruite dopo il 2000 che potrebbero essere potenzialmente oggetto di investimenti in sicurezza

Scarica l'intera nota (comprensiva di tabelle) in formato pdf