Circ. CNI n. 524/XIX Sess./2020
DPCM 22 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale” come modificato dal D.M. 25 marzo 2020 “Modifiche al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 marzo 2020” - Esclusione delle Attività degli studi di architettura, ingegneria ed altri studi tecnici (Codice ATECO 71) e della Attività di organizzazioni economiche, di datori di lavoro e professionali (Codice ATECO 94) dalla sospensione delle attività produttive industriali e commerciali
Caro Presidente,
nella scorsa settimana, la produzione normativa riguardante la necessità di limitare la diffusione virologica su tutto il territorio nazionale ha reso poco chiaro il quadro legale di riferimento, con conseguente incertezza nell’interpretazione delle diverse fonti che, molto spesso, si sono sovrapposte tentando di disciplinare medesimi ambiti. Con la presente, quindi, si intende chiarire ed interpretare un quadro normativo che risulta più che mai articolato.
In ordine cronologico, per primo è stato emanato il DPCM 22 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale”, attraverso cui il Governo ha inteso sospendere tutte le attività produttive industriali e commerciali nell’intero territorio nazionale, indicando puntualmente quelle per le quali tale sospensione è invece esclusa. L’indicazione delle attività escluse dalla sospensione è stata effettuata attraverso l’utilizzo del Codice ATECO (il codice ATECO è una combinazione alfanumerica che identifica una ATtività ECOnomica) . Le lettere individuano il macro-settore economico mentre i numeri - da due fino a sei cifre - rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le specifiche articolazioni e sottocategorie dei settori stessi. Per ulteriori informazioni si veda https://www.codiceateco.it).
Per quanto di interesse, si evidenzia che sono state escluse dalla sospensione delle attività:
- 42 – Costruzioni di opere di pubblica utilità- Ingegneria civile;
- 71 - Attività degli studi di architettura, ingegneria ed altri studi tecnici, tra le quali è ricompresa la sottocategoria 71.12.10 - Attività degli studi di ingegneria;
- 94 – Attività di organizzazioni economiche, di datori di lavoro e professionali,tra le quali è ricompresa la sottocategoria 94.12.10 – Attività di federazioni e consigli di ordini e collegi professionali.
Successivamente, il Ministero dello Sviluppo Economico ha emanato il Decreto Ministeriale 25 marzo 2020 “ Modifiche al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 marzo 2020”, con il quale ha inteso aggiornare l’elenco dei codici ATECO – di cui all’allegato 1, del DPCM 22 marzo 2020 - per consentire la maggior integrazione delle filiere e la sospensione delle attività ritenute non essenziali. Nello specifico, si segnala come l’atto regolamentare in questione sia andato ad incidere sul codice ATECO 42, prevedendo l’esenzione dalla chiusura solo per i 42.1 –
Costruzione di strade e ferrovie e 42.2 - Costruzione di opere di pubblica utilità (prevedendo quindi la chiusura delle attività rientranti nel codice 42.9 – Costruzioni di altre opere di ingegneria civile). Nulla è stato invece modificato per le attività ricomprese nei codici 71 e 94.
Va peraltro precisato che la decretazione in questione si inscrive in un flusso di atti normativi di diverso rango emanati a seguito dell’evolversi dell’emergenza COVID-19 con i quali è inevitabilmente destinato a coordinarsi, tra cui, in particolare, il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, il DPCM del 8 marzo 2020 ed il DPCM 11 marzo 2020. Di talché, con riferimento alle pubbliche amministrazioni ed alle attività produttive e professionali non interessate dalla chiusura obbligatoria - ma che anzi rappresentano un’eccezione a quest’ultima - si raccomanda che esse siano svolte secondo le seguenti modalità:
sia attuato il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
siano sospese le attività dei reparti non indispensabili alla produzione;
siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;
siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavorosiano limitati al massimo gli spostamenti all'interno dei siti e contingentato l'accesso agli spazi comuni ( DPCM 11 marzo 2020).
Al fine di contrastare la diffusione virale sul proprio territorio, anche la Regione Lombardia e la Regione Piemonte hanno approvato dei provvedimenti appositi e ben più stringenti rispetto ai decreti governativi, tra le quali le Ordinanze Regione Lombardia, 21 marzo 2020, n. 514, 515 e 517 e l’Ordinanza Regione Piemonte, 21 marzo 2020, n. 34. Specificatamente, con le suddette ordinanze, sia la Regione Lombardia quanto la Regione Piemonte hanno inteso imporre la chiusura di tutte le Pubbliche Amministrazioni ed i soggetti privati esercenti un pubblico servizio, fatti salvi quelli eroganti servizi essenziali ed indifferibili. Per ciò che concerne le attività produttive, le ordinanze lombarde e piemontesi hanno disposto la chiusura “degli studi professionali salvo per quelle (attività) relative ai servizi indifferibili ed urgenti o sottoposti a termini di scadenza”. Appare quindi opportuno chiarire i rapporti che intercorrono fra le diverse fonti regionali e statali citate. Non è necessario attingere dalla giurisprudenza costituzionale per confermare l’indiscussa prevalenza dei DPCM sulle cedevoli ordinanze regionali, in quanto con Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6 “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19” - convertito con Legge 5 marzo 2020, n. 13 – è stata prevista una disciplina tranchant dei rapporti fra diverse fonti del diritto, sancendo che i Presidenti dei Consigli Regionali possono emanare ordinanze esclusivamente nelle more dell’adozione dei DPCM e nei casi di estrema necessità ed urgenza.
A titolo meramente esemplificativo, si può affermare che la chiusura degli studi professionali disposta con le sopracitate ordinanze regionali ha eventualmente dispiegato i propri effetti soltanto per poche ore e fino all’approvazione del DPCM 22 marzo 2020 che ha inteso includerli nel novero delle attività escluse dalla chiusura obbligatoria. Viepiù che, in linea di teoria del diritto, lo strumento del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri rappresenta il mezzo giuridico più idoneo per garantire un uniforme livello di tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini su tutto il territorio nazionale.
Su solco di questa linea interpretativa, il Consiglio dei Ministri ha infine approvato il Decreto Legge, 25 marzo 2020, n. 19. In prima battuta, il Governo ha inteso garantire un fondamento legale (di rango primario) a tutte le eventuali restrizioni della libertà dei cittadini che, precedentemente, avvenivano attraverso normative meramente regolamentari e che, pertanto, avrebbero potuto prestare il fianco a dubbi di costituzionalità. In secondo luogo, il Decreto ha previsto che l’attuazione delle misure di contenimento possa avvenire (esclusivamente) con DPCM su proposta dei Ministri competenti ovvero su proposta dei Presidenti di Regione. L’art. 2, co. 3, del Decreto – inoltre – fa salvi gli effetti di tutti i precedenti DPCM adottati sulla base del D.L. 6/2020 (ribadendone l’applicazione) e le ordinanze regionali adottate ai sensi dell’art. 32, L.833/1978. La vera novità del Decreto è prevista all’art. 3, nella misura in cui riconosce espressamente la potestà regionale nell’emanare ordinanze ma limitandola ai casi in cui vi sia un aggravamento del rischio epidemiologico e fintanto che non venga approvato un apposito DPCM. Difatti viene previsto che: “Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (…), e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all'articolo 1, comma 2, esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale”. Inoltre, viene nuovamente avvalorato che tali disposizioni si applicano anche agli atti posti in essere in forza della legge previgente, ossia le ordinanze regionali suesposte. Sinteticamente, quindi, è possibile prendere atto che, anche attraverso il nuovo Decreto Legge, si avvalori la cedevolezza delle normative regolamentari regionali e la possibilità che queste dispieghino i loro effetti solo nelle more di adozione di un DPCM.
In conclusione, preme rappresentare che lo scenario normativo e regolamentare è in aggiornamento costante; questo Consiglio è impegnato a fornire informazioni tempestive ad Ordini ed Iscritti sulla sua evoluzione ed a rapportarsi - unitamente alla Rete delle Professioni Tecniche (RPT) ed al Comitato Unitario delle Professioni (CUP) - con il Governo al fine di tutelare al meglio gli interessi dei liberi professionisti tutti e, in particolar modo, della categoria degli Ingegneri.
Circ. CNI n. 524/XIX Sess./2020
Allegati:
DPCM 22 marzo 2020
Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 25 marzo 2020